Sai davvero chi è il tuo datore di lavoro?

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foto una tazza con scritto big boss

In questo articolo proverò a spiegarti perché il nostro vero datore di lavoro è il cliente e non chi vi ha fatto firmare il contratto di assunzione.

Sei il proprietario di un locale? Il cliente è anche il tuo datore di lavoro.

Se continuerai a leggere ti spiegherò il mio ragionamento, con esempi pratici e qualche aneddoto storico.

Sei pronto? Cominciamo.

La leggenda narra che durante le riunioni apicali di Amazon, un posto del tavolo intorno al quale sono riuniti i pezzi grossi dell’azienda, venga sempre lasciato vuoto.

La ragione è semplice: quello è il posto che occupa metaforicamente la clientela.

Questa scelta, oltre ad avere un chiaro valore simbolico, ha anche una valenza pratica. Obbliga infatti i partecipanti a domandarsi costantemente quale sia il punto di vista del cliente riguardo all’argomento in discussione e rientra in quella che tecnicamente viene chiamata Custumer Obsession.

La customer obsession, l’ossessione per il cliente, è la filosofia aziendale che pone il cliente e i suoi bisogni (indotti o spontanei), costantemente al centro di ogni scelta (se non è questa ospitalità…).

Se mi permetti un paragone marinaresco, il cliente è visto come l’ago della bussola del capitano, che indica la direzione verso la quale navigare.

Questa centralità non gli è riconosciuta soltanto nel momento in cui si tratta di definire i connotati del prodotto o del servizio da proporgli, ma anche quando vengono fatte altre scelte, apparentemente ininfluenti nel suo processo di acquisto, ma che invece concorrono a costruire l’identità stessa dell’azienda.

Ti faccio una domanda all’apparenza scontata, ma spero che ti faccia riflettere.

Pensi davvero che mettere o meno la cannuccia di plastica nel drink che stai servendo sia un semplice dettaglio per il cliente?

Sicuramente esiste una fetta di avventori, a cui ancora oggi importa poco se tu lo faccia o meno, ma il gruppo di coloro ai quali interessa del riciclo e del rispetto dell’ambiente esiste già ed è destinato a crescere nei prossimi anni.

Io per esempio sono molto sensibile a questo tema e preferisco frequentare bar che hanno abolito le cannucce (anche se fatte in materiale riciclabile, sembra non si riescano a riciclare per via delle loro dimensioni).

Non importa quanto tu sia bravo a miscelare, se il tuo spoon sia il più lungo di tutti o se il tuo cocktail abbia un ottimo rapporto qualità-prezzo, perché anche la tua etica contribuirà (se non nel breve), sicuramente nel medio-lungo periodo, a motivare un cliente a continuare a spendere il suo denaro al tuo bancone.

Al netto dell’esempio appena fatto, che si tratti di mettere o meno la cannuccia nel cocktail o di decidere se servire o meno la welcome water per accoglierlo, ricordati che domandarsi costantemente come si sentirebbe il cliente di fronte ad una determinata scelta, è un esercizio utile per abituarsi ad interpretare i suoi bisogni e se possibile, anticiparli.

Venendo al dunque, il motto che consiglio di tatuarti sul braccio, tra la faccia di Jerry Thomas e la coppa Martini vintage, è quello espresso in modo tanto sfacciato quanto perentorio da Sam Walton, fondatore nel 1962 della celebre catena americana di supermercati Walmart:

“Esiste solo un capo supremo: il cliente. Il cliente può licenziare tutti nell’azienda, dal presidente in giù, semplicemente spendendo i suoi soldi da un’altra parte.”

Questa frase, pronunciata in un’epoca in cui molte company vedevano ancora il cliente poco più che come un’arancia da spremere e non come il più importante dei loro asset, racchiude uno dei segreti del successo di qualsiasi attività che operi all’interno di un mercato maturo. Proprio come il tuo bar.

Ogni volta che un avventore esce insoddisfatto dal tuo locale, ricordati che è lui che a fine mese paga il tuo stipendio e quello del tuo capo, non chi ha firmato il tuo contratto di lavoro. Il giorno in cui i clienti più affezionati smetteranno, uno dopo l’altro, di spendere i loro soldi nella tua attività, inizia a preoccuparti.

Questa verità senza appello deve spingerti a migliorare costantemente il livello della tua ospitalità, nella sua accezione più ampia.

Che tu sia barman dipendente o proprietario del locale in cui lavori, se pensi che oggi sia sufficiente fare il miglior Mojito del quartiere per non doverti preoccupare più di tutto il resto, clienti compresi, faresti bene a cambiare mestiere il più in fretta possibile.

Che cosa ne pensi di quanto affermo in questo articolo? Sei d’accordo? Vorresti aggiungere qualcosa o parlarne con altri bartender/imprenditori? Condividi questo articolo dentro il mio gruppo facebook COCKTAIL ENGINEERING PRO e fai la tua domanda/osservazione. Ti aspetto!

Buona Miscelazione,
Giovanni

Autore

  • Giovanni Ceccarelli

    Sono l'ideatore e coordinatore del blog e del progetto Cocktail Engineering. Per pagarmi gli studi universitari dal 2007 ho iniziato a lavorare come bartender in diversi locali tra Pesaro, Fano e la Riviera romagnola. Nel 2010 mi sono laureato in Ingegneria Energetica (ben presto ho capito che questa non era la mia strada). Dal 2011 sono docente in Drink Factory nei corsi di Miscelazione Avanzata e Preparazioni Home made. Dal 2013 al 2016 ho scritto di scienza e cocktail sulla rivista BarTales. Nel 2016 ho aperto questo blog e lavoro come consulente per Vargros per il quale seleziono spezie ed altri ingredienti.

Autore
Giovanni CeccarelliDivulgatore, docente, consulente

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