Ha ancora senso farsi fare il distillato a proprio marchio?

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un'immagine generata con l'AI di un bartender all'interno di una distilleria artigianale. Dietro di lui uno scaffale a tutta parete con delle botti di legno.

Signora mia, c’è la crisi!

Parafrasando il pensiero della stereotipata “casalinga di Voghera”, ho provato a saltare direttamente alle conclusioni, a cui qualcuno sicuramente sarà già arrivato leggendo semplicemente il titolo del mio articolo.

Senza avere la pretesa di conoscere la risposta giusta, vorrei provare ad inquadrare meglio questo tema prima di esprimere la mia opinione.

Lavorando per Vargros, storico distributore all’ingrosso di alcolici della città di Milano, posso mettere sul piatto la mia esperienza diretta.

Negli anni immediatamente precedenti la pandemia da Covid, ho assistito in prima persona ad una esplosione dei prodotti realizzati da terzisti, desiderosi di entrare in assortimento per essere distribuiti.

Non parlo di una semplice tendenza, ma di un’autentica invasione di prodotti, soprattutto gin, che venivano proposti da ogni angolo del Paese, con decine e decine di richieste di presentazione, che arrivavano settimanalmente via mail.

Sai quali erano i due aspetti più evidenti che accomunavano la maggior parte di questi nuovi brand?

Il primo era il fatto che dietro a questi progetti ci fossero quasi sempre dei semplici appassionati, che avevano deciso, come secondo lavoro, di lanciare (quasi sempre) il proprio gin, (quasi sempre) senza conoscere minimamente il mercato e le sue regole.

Il crescente interesse verso il buon bere, unito alla sempre più accessibile offerta di microproduzioni da parte delle distillerie, aveva permesso praticamente a chiunque di farsi il proprio distillato con qualche migliaio di euro. 

Per quanto possa sembrare assurdo, questo trend è rimasto in crescita netta anche durante la pandemia, che è diventata un’occasione di tempo ideale per mettere in piedi nuovi progetti di questo tipo.

Il secondo aspetto, altrettanto sorprendente, era che il mercato riusciva a recepire la gran parte di quelle referenze.

Incredibile ma vero, un elevato numero di questi prodotti, molti dei quali lanciati senza alcun tipo di strategia, riusciva a trovare la propria nicchia di mercato. Piccola, a volte minuscola, ma sufficiente a giustificare almeno sulla città di Milano, la propria presenza.

Ma ecco arrivare la svolta.

Al termine dell’allarme pandemico, il mercato degli spirits si è ritrovato completamente stravolto e provato, nell’immediato dai cambiamenti delle abitudini di consumo e, successivamente, da una saturazione del mercato molto rapida, causata principalmente dal tentativo di tutte le aziende di recuperare il fatturato perduto, lanciando nuovi prodotti sul mercato.

A tutto ciò, nell’ultimo periodo, è andata ad aggiungersi un’ondata economica recessiva che, di fatto, ha letteralmente falciato tanti piccolissimi brand, nati per gioco e finiti repentinamente nel dimenticatoio.

Diminuendo i consumi dei clienti finali, i primi a farne le spese sono stati proprio quei prodotti che un tempo arricchivano la bottigliera e che poi si erano trasformati in un acquisto poco redditizio.

Ora che il quadro complessivo è più definito, ritorniamo alla domanda iniziale: oggi ha ancora senso rivolgersi ad un terzista per creare il proprio liquido da mettere sul mercato?

La mia risposta, dopo tutta questa premessa, ti sorprenderà ma è “sì”.

Ora ti spiego perché.

Innanzitutto, le fasi recessive del mercato sono sempre seguite da fasi di crescita. Il mercato non è morto, sta solo attraversando una congiuntura negativa, il che vuol dire che è il momento migliore per prendere la rincorsa ed aggredirlo. Di certo non in maniera scriteriata, ma osservando i nuovi trend, capendo cosa vogliono i clienti e proponendoglielo nel modo in cui lo vorrebbero.

In secondo luogo, se è vero che siamo in una fase espulsiva – soprattutto – delle referenze firmata da semplici appassionati, a cui gli amici hanno detto che è buonissimo (cit.), è altrettanto vero che – finalmente – sono sempre di più i professionisti della miscelazione, come titolari di locali, barman, formatori e ristoratori che propongono ai distributori delle novità, in tema di prodotti, che sono una ventata di aria fresca da tanti punti di vista.

In terzo luogo, tutte queste figure appena citate hanno un vantaggio competitivo fondamentale sulla concorrenza, ovvero dei bacini di clientela già esistenti a cui rivolgere il proprio prodotto immediatamente.

Mi spiego meglio: il titolare di cocktail bar che serve il distillato a proprio marchio, venderà la prima bottiglia a quello stesso cliente che l’ha provato dentro al suo drink.

Il ristoratore che si è fatto realizzare il proprio amaro, potrà servirlo alla propria clientela a fine pasto, che sarà ben felice di portarselo anche a casa, perché lo apprezza e si fida di chi glielo sta proponendo.

Senza dilungarmi oltre, credo che il concetto sia cristallino: un operatore del settore sa esattamente cosa funziona e, rivolgendosi ad un terzista, può dare forma al prodotto che i suoi clienti ameranno.

Praticamente è il sogno per chiunque voglia fare business.

Quindi, esattamente, cosa stai aspettando per iniziare?
Pierpaolo

Autore

  • Pierpaolo Maggio

    Amo approfondire le cose. Ho una laurea in Giurisprudenza, una in Scienze dei Beni Culturali ed un Executive in Marketing alla Bocconi di Milano. Sono specializzato nel supportare la crescita di nuovi business: lo chiamano Growth Hacking e lo faccio per Vargros dal 2016. Nel 2020 sono entrato anche nel team di Giovanni Ceccarelli e di Drink Factory.

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