Il mestiere del barman: tutta la verità

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Anche io ho asciugato bicchieri, rimosso foreste di menta dalla scarico dei lavandini, preparato centinaia di drink a sera, discusso con clienti troppo maleducati per avere sempre ragione ed ho lavorato con barman così pieni di loro stessi da non poterci credere.

Insomma, questa premessa è per dirti che certe cose non le ho soltanto lette o sentite raccontare, ma le ho vissute in prima persona.

L’ho fatto mentre studiavo, ma anche dopo, per un lungo periodo, per un motivo che ti racconterò più avanti sei avrai voglia di scoprirlo.

Non ho mai lavorato all’interno di cocktail bar, ma in centinaia di eventi di tutti i tipi e dimensioni.

Non so quale dei due contesti sia meglio o peggio, ma non è lo scopo di questo articolo rispondere a questa domanda.

Vorrei soltanto mettere sul tavolo i mie two cents, quindi sentiti libero di dire la tua nei commenti, se ti va. 

Ora però, andiamo al sodo.

Se ripenso al primo evento in cui ho preparato dei drink, subito dopo aver frequentato un corso per barman, mi viene un pizzico di nostalgia e l’immagine che mi viene in mente è quella di una centrifuga: tutto troppo veloce e fuori controllo per quello che ero in grado di fare.

Ma al netto della mio primo ricordo, vorrei fare una riflessione, su cosa significhi scegliere questa strada professionale, a tempo pieno, oggi.

Iniziamo dal tema per eccellenza, quando si parla di lavoro: la paga.

Se parliamo di stipendi, il mestiere del barman è mediamente retribuito poco e male.

In tanti casi si aggiungono ore di straordinario non retribuite e contratti “a metà” e non c’è bisogno che mi dilunghi su cosa voglia dire.

Anche nell’hotellerie le retribuzioni non sono affatto stellari, ma, almeno in quella di lusso, vengono integrate da mance che incidono non poco sul totale.

Senza addentrarmi troppo nei meandri di questo spinosissimo argomento e senza alcuna pretesa di esaustività, mi basta per dire che l’aspetto economico non può essere, nella maggior parte dei casi, il motivo principale che può spingere qualcuno a fare il barman.

Senza contare un altro aspetto tutt’altro che secondario: scegliere di fare il barman vuol dire vivere letteralmente al contrario: lavorare nei giorni e negli orari in cui gli altri si divertono.

Questo lo rende un lavoro particolarmente probante, non soltanto a livello fisico, ma anche a livello mentale e relazionale. Infatti, non è un caso che nell’immaginario collettivo – distorto, naturalmente – il barman sia un lavoro solo per giovani, che si fa mentre si studia o per un periodo molto limitato della propria vita. 

(A questo proposito, se non l’hai ancora fatto, ti consiglio di leggere il mio articolo su Come passare dal bancone del bar alla multinazionale)

Ma quindi il mestiere del barman è tutto uno schifo?

Assolutamente no.

E’ uno dei mestieri più dinamici e richiesti nel mondo del lavoro e non è un caso che i barman possano, quasi sempre, scegliere dove andare a lavorare e possano cambiare posto di lavoro con una frequenza improponibile per tantissimi altri ambiti professionali.

Ma non è finita qui: il barman, per lo stesso motivo, può viaggiare con il suo lavoro praticamente in tutto il Mondo.

A patto di imparare decentemente le lingue o almeno l’inglese, è un mestiere che non conosce davvero confini.

Tutti noi conosciamo almeno un barman che è andato all’estero, trovando lavoro senza particolari problemi e rimanendoci anche volentieri.

Ma sapete secondo me qual è uno degli aspetti migliori di questa professione, che mi ha motivato per anni a continuare a farlo, anche quando la mia vita professionale aveva preso una svolta?

Il contatto con le persone. 

Il barman è una delle più grandi calamite di persone e di storie ed ha la (s)fortuna di poterle ascoltarle tutte dal suo pulpito: il bancone.

Se un commesso di un negozio di vestiti può sempre essere trasparente, un barman è, per definizione, al centro dell’attività e, a differenza di uno chef, è esposto al pubblico come parte attiva della scenografia del bar.

Nei casi più estremi, è il locale stesso che si identifica con il suo barman, tanta è la sua centralità per la clientela.

In definitiva, il barman è una sorta di sacerdote, che mette in mostra rituali affascinati davanti ad un pubblico, naturalmente vocato a rivolgergli lo sguardo e la parola.

Quindi, un mestiere straordinariamente privo di vie di mezzo, nel bene e nel male, che può aprire la mente verso orizzonti lontanissimi, non soltanto geografici.

Per te, non è tanta roba?

Buona miscelazione!
Pier

Autore

  • Pierpaolo Maggio

    Amo approfondire le cose. Ho una laurea in Giurisprudenza, una in Scienze dei Beni Culturali ed un Executive in Marketing alla Bocconi di Milano. Sono specializzato nel supportare la crescita di nuovi business: lo chiamano Growth Hacking e lo faccio per Vargros dal 2016. Nel 2020 sono entrato anche nel team di Giovanni Ceccarelli e di Drink Factory.

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