Aggiornamento del 6 luglio 2020.
Questo articolo è stato scritto in pieno lockdown (27 aprile 2020) con le informazioni pervenute dall’agenzia delle Dogane di Bologna, Milano e Vicenza (interpellata da Andrea Gallottini). Il 6 luglio, l’agenzia delle Dogane di Roma, ha diramato una nota firmata dal Direttore Generale ad interim, dove esclude quanto riportato dalle altre Agenzie territoriali da noi interpellate. Puoi scaricare e leggere la nota cliccando qui.
A seguito di questo aggiornamento ho contattato le dogane di Bologna che mi hanno confermato di aver recepito l’informativa e che quindi per fare Cocktail Delivery non ci vuole una licenza diversa da quella che un bar già possiede.
Tuttavia mi hanno precisato che ci si riferisce a bevande premiscelate, non imbottigliate. Sconsigliano quindi di imbottigliare i drink, ma di stoccarli e trasportali in bicchieri con apposito coperchio o altre soluzioni come le buste sottovuoto.
Resta invariato il discorso sull’aggiornamento al Manuale HACCP.
Di seguito l’articolo originale
Ho deciso di scrivere un articolo sulla consegna a domicilio (Delivery) e Cocktail Delivery insieme alla dr.ssa Claudia Costanza, mia stretta collaboratrice, perché credo che questo possa aiutare molte attività di somministrazione ad affrontare al meglio questo particolare momento storico e fare chiarezza su alcuni aspetti un po’ controversi, in particolare quello del Cocktail Delivery.
Claudia è medico veterinario specializzata in igiene degli alimenti, titolare di BolognaHACCP, azienda che si occupa di Sicurezza Alimentare e Sistemi di Qualità. Insieme a lei ho anche sviluppato i piani di autocontrollo di tutte le preparazioni home-made che è possibile realizzare al bar.
La consegna a domicilio (delivery) è sicuramente lo strumento che permette alle attività di somministrazione, come bar e ristoranti, di soddisfare il desiderio dei propri clienti di concedersi una cena preparata dal loro ristorante preferito, in totale relax, senza dover per forza passare ore davanti ai fornelli. Insomma, un momento di svago, in un pesante periodo di lockdown.
Questo ha chiaramente dei risvolti positivi anche per bar e ristoranti che, oltre all’introito economico necessario a sostenersi, possono mantenere viva e attiva la relazione con i loro clienti affezionati e, perché no, tramite delle mirate attività di marketing, trovare nuovi clienti.
Crediamo anche che ormai questo meccanismo sia stato messo in moto e sicuramente prenderà sempre più piede, anche quando potremo tornare a frequentare il nostro ristorante preferito.
Aggiornamento: dal 4 maggio i ristoranti/bar potranno fare anche asporto (vietati assembramenti, il consumo dentro il locale o nelle immediate vicinanze) e non solo la consegna a domicilio.
In questo articolo non parleremo di strategie di marketing, ma analizzeremo gli adempimenti legislativi necessari per fare Delivery e vi spiegheremo, nel dettaglio, la questione Cocktail Delivery.
Consegna a domicilio: si comincia con qualche semplice verifica
Come prima cosa vi consigliamo di fare delle semplici verifiche presso il vostro Comune/Asl di appartenenza. In particolare, informatevi se è necessario mandare l’informativa che descriva come e da quando intendete iniziare l’attività di consegna a domicilio.
Alla ASL chiedete anche se sia necessario fare una pratica presso il SUAP del proprio comune: in Emilia-Romagna non è necessario, per altre regioni è bene chiarire.
Da ultimo è bene informarsi presso il proprio commercialista, per comprendere in modo esaustivo quali documenti fiscali debbano accompagnare l’alimento.
Aggiornamento del piano HACCP: i consigli della dr.ssa Claudia Costanza
La seconda cosa che dovete fare è aggiornare il manuale HACCP.
Perché va aggiornato?
Dovete aggiornare il piano di autocontrollo HACCP perché consegnare a domicilio un alimento presenta altri pericoli di contaminazione dell’alimento rispetto alla somministrazione sul posto. Pericoli che vanno individuati, al fine di applicare tutte quelle procedure necessarie ad eliminarli o a ridurli entro un livello accettabile, prima che questi possano produrre dei danni alla salute. Qualità è anche garantire la sicurezza di una preparazione.
In particolare, queste sono le informazioni che occorre fornire al vostro consulente HACCP per la stesura di un protocollo personalizzato per le consegne a domicilio:
- il tipo di imballaggio avete in mente di utilizzare per le consegne (sottovuoto, atmosfera modificata, prodotti solo incartati oppure completamente liberi – sfusi);
- specificare se i prodotti che andrete a consegnare sono in toto fabbricati da voi, se lo sono solo in parte, oppure se sono comprati dal fornitore e riproposti tal quali al Cliente;
- quali mezzi utilizzerete per mantenere al caldo o al freddo i vostri prodotti, qualora siano alimenti che necessitano di stoccaggio e trasporto a temperatura controllata;
- le modalità di separazione tra prodotti di diversa natura (es. prodotti cotti e prodotti crudi, prodotti di origine animale e vegetale, prodotti sfusi e prodotti confezionati);
- la modalità con la quale intendete dare al Cliente le informazioni che devono per legge accompagnare l’alimento (es. elenco ingredienti, presenza/assenza di allergeni, eccetera)
In questo periodo è anche necessario prevenire il rischio Covid-19. Il nostro consiglio è quello di indicare al consulente anche la modalità di pagamento che intendete proporre al Cliente.
Quello che vi abbiamo detto finora riguarda il delivery in senso generale e si applica sia al cibo, sia alle bevande. Si applica anche al Cocktail Delivery, tuttavia è condizione necessaria, ma non sufficiente.
COCKTAIL DELIVERY: SI PUÒ FARE OPPURE NO?
Abbiamo deciso di parlare di Cocktail Delivery perché molti cocktail bar hanno iniziato a consegnare a domicilio le loro miscele alcoliche e questo ha sollevato sui social network un gran polverone, che non è servito a fare chiarezza sull’argomento.
C’è chi sostiene che si possa fare, trattando i cocktail come qualunque altra preparazione del bar (panino, hamburger ecc.) e c’è invece chi dice che, nel momento in cui si prepara un cocktail e lo si imbusta bisogna pagare l’accisa e apporre il contrassegno fiscale.
Innanzitutto chiariamo una cosa: l’accisa non c’entra. Non bisogna pagare alcuna accisa perché un bar acquista prodotti alcolici che hanno assolto l’accisa (già pagata).
Attenzione! Il fatto che un bar lavori con prodotti ad accisa assolta non lo mette automaticamente a norma perché vendita, somministrazione, condizionamento e trasporto di prodotti alcolici sono strettamente regolamentati, in quanto l’alcol è soggetto a monopolio di Stato. La manipolazione dei prodotti alcolici ad accisa assolta è regolamentata dall’art 29 del Testo Unico delle Accise.
A questo punto avrete probabilmente intuito che non si possono trattare i cocktail come qualunque altro prodotto. Un cocktail non è una piadina o un panino: non è sufficiente mettersi a norma con la ASL, piano HACCP e SUAP (come abbiamo spiegato all’inizio di questo articolo per il normale delivery).
In materia di alcol e prodotti alcolici la norma specifica è il Testo Unico Accise e l’ente competente è l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
È infatti l’Agenzia delle Dogane a emettere la licenza di vendita e somministrazione di prodotti alcolici che un bar deve avere (e che sicuramente avete), come indicato dall’art 29, comma 2, del Testo Unico Accise del 26 ottobre 1995 n. 504 (licenza che è stata re-introdotta nel 2019, dopo essere stata soppressa nel 2017).
Abbiamo quindi interpellato due sedi territoriali dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli, ed entrambe ci hanno risposto la stessa cosa (anche Andrea Gallottini, stimato collega, ha indipendentemente da noi contattato la sede territoriale di Vicenza, ricevendo la stessa risposta).
L’Agenzia delle Dogane e Monopoli di Bologna sottolinea che la licenza attualmente in possesso di un bar/ristorante permette di vendere un prodotto alcolico libero da vincoli di circolazione e deposito, quindi confezionato a norma e munito di contrassegno di Stato (i normali distillati o prodotti che voi acquistati da fornitori e cash and carry). Specificano anche che questa licenza permette la somministrazione di una bevanda alcolica, cioè la sua preparazione al banco, destinata al consumo sul posto.
Nel momento in cui si prepara un cocktail, miscelando prodotti alcolici e anche non alcolici, lo si confeziona in qualche maniera e lo si recapita a distanza, tale operazione prevede, a stretto rigore, il ricorso alla figura di opificio di trasformazione e condizionamento di cui all’art. 29, comma 1 del D.lgs. 26.10.1995 n. 504.
Semplificando, l’Agenzia delle Dogane, ci sta dicendo che nel momento in cui fate un cocktail e lo somministrate al banco vi basta la licenza che attualmente possedete (e che loro vi hanno dato), mentre se miscelate-imbustate/imbottigliate, a tutti gli effetti, non state facendo somministrazione, ma state facendo ciò che fa un opificio di trasformazione e quindi la licenza che avete non basta più.
In questo discorso rientrano anche i pre-batch di drink che normalmente si fanno al bar perché di fatto state creando un nuovo liquore.
A questo punto, oltre all’art 29, entrano in figura anche gli art. 30 e 31 del Testo Unico delle Accise. Questi due articoli regolamentano la circolazione dei prodotti alcolici e l’etichettatura.
L’art 30 ci dice che questi prodotti alcolici che abbiamo creato e imbustato/imbottigliato (cocktail, ma tecnicamente nuovi ‘liquori’), per circolare (e quindi anche per essere portati a domicilio), devono essere accompagnati dal DAS (documento di trasporto emesso dalle dogane) oppure da contrassegno fiscale.
L’art 31, e cito la risposta delle Dogane: ‘detta precise condizioni in ordine al confezionamento e all’etichettatura dei prodotti alcolici posti in vendita, che verrebbero violate nell’ipotesi di condizionamento dei cocktail in recipienti non ammessi dalle disposizioni commerciali vigenti e privi di qualsiasi etichetta recante le indicazioni prescritte’.
Questo vuol dire che, oltre al contrassegno fiscale, il vostro cocktail deve essere imbottigliato in contenitori di capienza ammessa dalla legge. Tradotto: non potete imbottigliare dove vi pare. Oltre ad essere imbottigliato in contenitori a norma, anche l’etichettatura deve essere a norma. Nell’etichetta devono essere indicati, tra le altre cose, gli estremi della licenza fiscale e il tenore alcolico misurato per via strumentale.
A questo punto, le Dogane concludono che non è possibile preparare cocktail da consegnare a domicilio, ma è possibile consegnare bevande alcoliche condizionate contrassegnate nel rispetto della normativa.
Quindi potete consegnare vino, birra o bevande alcoliche che rispettano la normativa. Ne consegue che, se volete consegnare i vostri cocktail, dovete mettervi a norma con la licenza da opificio di trasformazione e apporre il contrassegno fiscale sui drink.
Al momento queste sono le informazioni ufficiali a nostra disposizione, non ricevute durante telefonate ‘informali’, interviste o semplici email, ma via PEC (strumento che ha valore legale, come una raccomandata). Ci riserviamo tuttavia la possibilità di aggiornare questo articolo se dovessimo ricevere ulteriori informazioni.
Concludendo il discorso sul Cocktail Delivery, crediamo sia un argomento da non prendere alla leggera, perché le sanzioni che riguardano prodotti soggetti a monopolio sono molto pesanti e si rischia il penale. Anche nel caso in cui doveste avere ragione a seguito di un accertamento/giudizio, probabilmente avrete speso molto tempo e molti soldi.
Consigliamo ai corsisti e ai clienti che seguiamo per manuali HACCP/DVR e altre consulenze, di mettersi in regola (autonomamente o contattandoci). Ci stiamo attivando anche per fornire questo servizio e assistervi in questa procedura.
Nessun problema invece per quanto riguarda Delivery di cibo e bevande come vino e birra: mettetevi a norma come vi abbiamo indicato, oppure contattateci se avete bisogno di una consulenza per redarre correttamente il manuale HACCP.
Buone consegne,
Giovanni Ceccarelli
Claudia Costanza – BolognaHACCP
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